anziano con paura di sentirsi solo e restare da soli

La paura di stare da soli, perdutamente soli.

Per quanto l’uomo sia un animale sociale e necessiti degli altri per sopravvivere, la solitudine è tipica della condizione umana quindi non necessariamente un male. Anzi, talvolta rimanere soli è addirittura necessario per permettere al cervello di elaborare le esperienze personali (lutti o  traumi ad esempio) e salutare, per cui si impara a vivere in solitudine con i propri pensieri. 

Già nella nostra storia più antica la socialità e l’affiliazione a gruppi di persone permetteva protezione e collaborazione per poter sopravvivere: l’isolamento appariva dunque un rischio reale! La possibilità di stare con gli altri scongiurava l’esclusione e aveva quindi un’importanza vitale.

Di conseguenza il nostro stesso cervello, evolvendosi, ha imparato a tradurre come minacciosa la possibilità di essere respinti, emarginati  e quindi la paura di rimanere soli

Altro scenario invece quando avvertiamo una sorta di solitudine esistenziale per la quale ci si sente incompresi, giudicati e non voluti dagli altri: in questo caso il senso di vuoto è più invasivo, profondo e si vive la dilaniante sensazione di non essere visti. Diventiamo così affamati e bisognosi dell’approvazione e della considerazione altrui e per ottenerli saremmo disposti a comportarci in un determinato modo con l’aspettativa di essere accettati.

Ma questa superficiale accettazione sarà dovuta a ciò che faremo…e non per ciò che siamo davvero!

Il risultato sarà la conferma ineluttabile di essere soli.

Cosa ci ha portati ad avere paura della solitudine?

Come in tutto ciò che riguarda il nostro atteggiamento verso il mondo, l’ambito famigliare rappresenta la prima occasione di fare esperienza con l’altro. Tra le braccia dei nostri genitori infatti ci aspettiamo un ambiente caratterizzato da empatia, calore, benevolenza e accettazione.

E se invece trovassimo deprivazione emotiva, abusi, manipolazioni, svalutazioni… cosa potremmo provare? Il rischio è crescere con un’idea di sé come non amabile, di poco valore, indesiderato.

Una vera e propria carenza affettiva dunque, spesso legata all’assenza della madre che non veicola in modo appropriato le emozioni del piccolo e non si preoccupa di contenere le sue angosce, creando nel bambino un importante disagio interiore.

Questi vissuti potrebbero essere alla base della paura di stare da soli una volta diventati adulti. Mettiamo la testa sotto la sabbia?

Quanto è faticoso fare i conti con la tristezza?

Moltissimo, un dolore quasi fisico. 

Ma fingere che tutto ciò possa sparire da solo è utopia: per combattere la situazione bisogna passare in mezzo alla tristezza e al senso di vuoto per rafforzarsi rispetto alla paura di stare soli e per costruire la percezione di poter contare sulle proprie risorse.

Altrimenti in età adulta andremo a riempire questo vuoto con una relazione qualsiasi dove non conta tanto chi sta con noi, l’importante è che ci rimanga. Se poi la relazione stessa non dovesse funzionare o incontrare ostacoli importanti, sarà molto difficile separarci perché non vogliamo correre il rischio di sentirci soli, di nuovo. 

E così ci ritroveremo in una storia che non ci rende più felici, che svolge un pallido ruolo di presenza ma non riempie il nostro vuoto interiore: il rischio di una dipendenza affettiva è dietro l’angolo.

Come può aiutare la terapia a non sentirsi più soli?

L’obiettivo generale sarebbe quello di portare la persona a prendersi cura di sé e del proprio senso di vuoto: è pertanto necessario tornare a quei bisogni che sono stati frustrati nell’infanzia (essere amato, curato, protetto o apprezzato) e dedicarsi alla loro soddisfazione. 

Volendo comprendere l’origine di tanto timore della solitudine, esploreremo le esperienze infantili e adolescenziali ritenute all’origine dei problemi relazionali attuali. Un occhio al passato quindi ma anche al presente per indagare come abbiamo provato a sedare quel profondo dolore finora, a cosa o chi ci siamo aggrappati e in quale modo.

Come sempre in simili percorsi è focale la relazione terapeuta-paziente, strumento elitario per il cambiamento della persona.

Il rapporto terapeutico funzionerà andrà a riparare le aspettative deluse nell’età infantile e sarà lì che impareremo ad accettarci come persone e ad amarci per quello che siamo.

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